Il mito del Manager

Una specie di supereroe dei nostri tempi, colui che magicamente produce risultati, la panacea di ogni male. Ma la realtà è proprio questa?  Che differenza c’è tra un manager ed un leader? Il management è una professione e dove si impara?

La letteratura sui manager è piena di titoli molto evocativi che narrano casi di successo illustrando personalità di primo piano a cui ispirarsi. Per esempio la società automobilistica Chrysler a distanza di oltre 30 anni è stata portata all’attenzione dei lettori, qualche tempo fa, grazie ai libri su due suoi CEO  “Una autobiografia” di Lee Iacocca e “ Chi comanda è solo. Sergio Marchionne in parole sue”.  Tuttavia la realtà quotidiana, che riguarda non singoli casi ma un numero molto elevato di persone e di aziende, può essere molto diversa, vorrei quindi analizzare il lavoro del manager attraverso il pensiero di Henry Mintzberg ben illustrato nel suo libro “Il lavoro manageriale in pratica”.

L’autore vuole sfatare tre miti che impediscono, a suo parere, di definire la gestione manageriale per quella che è:

  1. il management deve essere distinto dalla leadership;
  2. la gestione manageriale è una scienza o, almeno, una professione;
  3. il lavoro manageriale  vive un tempo di grandi cambiamenti.

Mintzberg ritiene che le organizzazioni debbano essere essenzialmente delle comunità in cui le persone si impegnano insieme e si rispettano reciprocamente, che tali comunità debbano essere fatte funzionare attraverso l’attività manageriale che utilizza alcuni saperi tecnici, sfrutta alcune acquisizioni scientifiche ma che è essenzialmente una pratica appresa attraverso l’esperienza e radicata nel contesto in cui avviene. Essere un manager significa quindi “far fare” e non sono richieste doti eroiche o taumaturgiche, che anzi vengono considerate dannose per la sopravvivenza dell’organizzazione, ma chi guida è bene che sia una persona normale capace di coinvolgere e connettere, fornire e richiedere sostegno, dotata di equilibrio emotivo e lucidità. In questo contesto la leadership è soltanto una forma particolarmente efficace di gestione manageriale che non deve creare gregari ma sviluppare al meglio la capacità di cooperazione delle persone e mettere ognuno nelle condizioni di dare il meglio.

E’ una interpretazione che trova molti riscontri nella realtà, conosciamo tutti i casi di manager di successo che non sono riusciti a ripetersi in contesti diversi, oppure di aziende che non sono sopravvissute ad un leader carismatico e vediamo anche che in taluni casi di aziende longeve i manager che le guidano si susseguono senza raggiungere una notorietà personale presso il largo pubblico che invece conosce bene il marchio.

Quello che cambia davvero sono le questioni da affrontare mentre i metodi sono gli stessi. Mintzberg ha ricavato le sue opinioni dall’osservazione diretta di alcune decine di manager nell’arco di una trentina d’anni, facendo quindi una vera e propria ricerca sul campo in cui ha verificato delle differenze sostanziali tra immagine diffusa e realtà verificata: la prima è la visione del manager come pianificatore riflessivo e sistematico, mentre la realtà rivela ritmi di lavoro frenetici, attività frammentate e orientamento all’azione. E’ la quotidianità di aziende piccole e grandi, locali e globali, nel mio lavoro di coach il tema della pressione delle scadenze è uno dei più frequenti che mi vengono posti, mi capita spesso di ritrovare situazioni che io stesso mi sono trovato ad affrontare all’inizio della mia attività lavorativa.

Il secondo stereotipo è quello che fa dipendere il lavoro del manager da informazioni strutturate di tipo formale mentre l’osservazione della realtà dice che vengono di gran lunga preferite comunicazioni informali, riunioni, email. Il management spesso consiste nel gestire contatti, la conversazione è la tecnologia del leader, internet in questo senso più che modificare il contenuto del lavoro del manager rischia di renderlo frenetico fino alla disfunzionalità: una mail non sempre può sostituire un incontro, una faccina non può sostituire un sorriso ed il tono della voce.

La terza immagine diffusa è quella relativa alla gestione di relazioni gerarchiche tra “superiori” e “subordinati” mentre la realtà ci mostra soprattutto relazioni orizzontali, connessioni con l’esterno, reti basate sulla conoscenza o sullo scopo da perseguire. Le strutture organizzative piatte sono ormai una pratica largamente diffusa così come la gestione per progetti in cui si creano strutture temporanee, addirittura si ha un riscontro di questo nei titoli riportati sui biglietti da visita che hanno abbandonato, qualora esistano ancora, titoli altisonanti in favore di qualcosa che esprima il contenuto del ruolo.

Allora la metafora del manager come direttore d’orchestra che dall’alto del suo podio con un cenno del capo fa suonare insieme decine di orchestrali e alzando la bacchetta dà voce agli ottoni mentre gli archi accompagnano, è sbagliata? No, è corretta, solo che non è l’esecuzione il momento da osservare. Il momento più importante, quello in cui la capacità di gestione del direttore si esprime più compiutamente, sono le prove dove si lavora duramente per giorni per realizzare un’esecuzione di un’ora.

 

Enrico Perversi

 

Questo articolo è stato originariamente pubblicato su La Rivista, mensile della Camera di Commercio Italiana per la Svizzera.

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