La gestione del team: il capo-coach

Le nuove competenze richieste ai leader per creare le condizioni perché tutte le persone esprimano al massimo il loro potenziale.

Come spesso succede, la sintesi migliore me l’ha fornita proprio un mio cliente durante una sessione di coaching: discutevamo i contenuti del suo nuovo ruolo manageriale e mi disse: “fino all’incarico precedente io ho sempre lavorato per il capo, adesso che sono al vertice mi rendo conto che sono io che devo lavorare per i miei collaboratori”.  Era stato appena promosso al ruolo di vertice di una organizzazione commerciale dopo una crescita dal basso rapida perché sostenuta da ottimi risultati e si trovava ad affrontare problemi nuovi soprattutto perché li viveva in una posizione non operativa.

In azienda si parla di delega, di collaborazione, di autonomia mentre la pressione aumenta e sono richiesti risultati a breve; l’età media scende e spesso vi sono trentenni in posizioni di vertice mentre l’esperienza dei cinquantenni viene spesso sacrificata sull’altare della riduzione dei costi. Ecco che quindi si ripropongono temi apparentemente noti e trattati ma che invece richiedono nuove azioni ed innovazione reale.

Le domande che richiedono risposte puntuali ed adeguate dai manager sono:

  • Come puoi creare una squadra che ti segua?
  • Come ripartire il tuo scarso tempo?
  • Come tratti i tuoi collaboratori, ti comporti con tutti nello stesso modo?
  • Quali sono i tuoi possibili comportamenti, e come valutare quale usare?
  • Quali sono i prerequisiti per una delega efficace?
  • Quali nuove competenze sono richieste ad un manager?

Niente di nuovo, il tema è stato affrontato e apparentemente risolto a partire da Taylor in poi, tuttavia sono cambiati i capi e, soprattutto, i collaboratori. Ecco che, ancora una volta, può essere utile una modalità di interpretazione della realtà che ci guidi nel realizzare il nuovo tra community online, collaboratori in altre parti del mondo, nuove professionalità in rapida affermazione.

Il modello utilizzato in questo caso fa riferimento alla teoria della leadership situazionale elaborata da Hersey e Blanchard che mette in relazione il grado di maturità dei collaboratori con lo stile di leadership da adottare: dapprima il coach accompagna il manager nell’analisi dei singoli collaboratori o dei gruppi da gestire, la discussione verte sulle esigenze delle persone, sul loro grado di competenza, sulle caratteristiche del ruolo che essi ricoprono. Il passo successivo è la messa a fuoco dei comportamenti possibili del capo, delle esperienze di successo sperimentate e di come queste siano adeguate in alcuni casi, per giungere a definire un piano di azioni per adattare lo stile di leadership ad ogni collaboratore o gruppo di collaboratori.

Anche in questo caso si ritrovano concetti già affrontati parlando di ruolo, quali la competenza e l’autonomia; il modello è complesso e richiede almeno un paio di passaggi logici tanto che spesso viene utilizzato in più sessioni perché pone una serie di questioni piuttosto ampie che possono richiedere la messa in discussione di comportamenti consolidati.

Ma il punto che vorrei evidenziare è che il manager ha un compito fondamentale nel favorire la crescita professionale del collaboratore dando chiare indicazioni nella fase iniziale, si pensi per esempio ad un neolaureato, per poi affiancare alla prescrittività azioni di sostegno ed incoraggiamento fino alla delega di responsabilità piena quando il percorso di crescita professionale complessiva del collaboratore lo consenta. Spesso le competenze tecniche dei giovani che entrano in azienda sono molto elevate e quindi il compito principale del leader è creare le condizioni perché possano esprimere appieno il loro potenziale. Si devono creare condizioni di fiducia, di assunzione di responsabilità, di capacità di leggere il contesto in cui ci si trova.

Mi succede spesso che manager con cui lavoro mi dicano che riproducono con i loro collaboratori l’atteggiamento che io assumo verso di loro: anziché assegnare compiti e controllarne l’esecuzione pongono domande, chiedono proposte, fanno generare all’interlocutore piani d’azione per il conseguimento dell’obiettivo condiviso.  Insomma fanno il capo-coach aiutando a considerare punti di vista diversi grazie alla loro visione più ampia.

Ho verificato come questo possa generare cambiamenti importanti non solo nel singolo manager ma anche nel clima e nella cultura aziendale, ricordo il caso di un manager di una struttura in rapida crescita grazie al successo delle nuove tecnologie introdotte. Si definiva il “fratello maggiore” all’interno del suo team e viveva la difficoltà di riuscire a seguire tutti i nuovi assunti.

Dopo aver sperimentato un approccio diverso cambiò radicalmente atteggiamento ottenendo ulteriori rilevanti successi e al contempo riuscendo a mantenere la coesione del gruppo di lavoro.

 

Enrico Perversi

 

Questo articolo è stato originariamente pubblicato su La Rivista, mensile della Camera di Commercio Italiana per la Svizzera.

Lo riproponiamo, in considerazione del fatto che molti dei nostri programmi di intervento hanno lo scopo di contribuire al raggiungimento di un miglior esercizio del ruolo di capo. I programmi di coaching e le metodologie La squadra efficace e Sestante in particolare sono fortemente orientati a questo, che è altresì uno degli importanti risultati che si ottengono adottando la metodologia di project management Scrum, che proponiamo con appositi moduli e-learning e con il programma blended Scrum-Mania.

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