Sperimentare Innovare Apprendere

La sperimentazione è uno dei fondamenti del Management 2.0: per esempio il nuovo auspicato processo di formulazione della strategia consiste in una evoluzione rapida che sostituisce la pianificazione a lungo termine. Si vuole cambiare attraverso innovazioni che derivano da sperimentazioni avvenute con successo e capitalizzate in apprendimenti collettivi.  É noto come nuovi prodotti o servizi vengano introdotti su piccola scala cercando di capire in tempi brevi la reazione del mercato prima di avviare investimenti molto rilevanti, oppure come innovazioni radicali siano nate da qualcosa imparato cercando una soluzione per un problema diverso.

Vorrei quindi approfondire l’utilizzo della sperimentazione in ambito manageriale ed è interessante attingere a discipline diverse da quella della pura gestione aziendale. A me sembra molto stimolante il lavoro di Bruno Munari, artista e designer, che nel suo libro “Da cosa nasce cosa” ci propone una metodologia progettuale che è anche una riflessione interessante sul concetto di creatività

Nella figura è riportato il processo che ci porta dal problema P alla soluzione S secondo Munari. Vediamo come si può applicare al management: un problema aziendale nasce da un bisogno, da una criticità, la strada verso la soluzione tuttavia non risiede in una idea geniale che magicamente crei la novità, il punto di partenza è invece una definizione accurata del problema DP che ne definisca anche i limiti. A questo punto è chiaro per tutti di che cosa ci si sta occupando e quindi si può fare un altro passo in avanti definendo le componenti del problema CP, che ci consentono di valutare, e risolvere, tematiche più piccole e limitate, forse anche già affrontate con successo in altri ambiti. Ecco che quindi è necessario documentarsi, avviarsi cioè a capitalizzare l’esperienza attraverso una raccolta dati RD seguita da una analisi approfondita dei dati stessi AD per trasferire il tutto nel contesto in cui operiamo.

Inizia poi la fase di progettazione del nuovo attraverso la creatività C che quindi sostituisce l’idea intuitiva di cui si parlava all’inizio del processo. La creatività quindi si mantiene nei limiti del problema definiti dall’analisi dei dati e dei sottoproblemi e può far ricorso a componenti già note ma assemblate in maniera nuova. In questa sede vanno esaminati materiali e tecnologie MT disponibili, in senso aziendale si può parlare anche di informazioni, metodologie o strumenti, per arrivare alla soluzione del problema da cui eravamo partiti.

Qui il progettista, o il gruppo di lavoro, compirà una sperimentazione SP, che consentirà di valutare la fattibilità, i vantaggi, i nuovi usi di cose esistenti, in una parola si accumulerà conoscenza ed esperienza. Un risultato sono modelli M, cioè funzionamenti possibili su scala ridotta che attraverso le opportune verifiche V ci porteranno ai disegni costruttivi DC (o processi, procedure, strumenti, strutture in ambito aziendale) che rappresentano la soluzione S al problema.

Questo è il processo che un grande designer ha applicato alla progettazione di lampade o sedie utilizzando il criterio della semplicità, ma è anche quello che Toyota ha applicato nei suoi programmi di miglioramento continuo chiamati Kaizen dove viene impiegato il criterio della eliminazione degli sprechi di materiale, tempo o risorse in generale.  Tale approccio ha consentito a Toyota di raggiungere i vertici del settore automobilistico ed il suo modo di operare è diventato un vero e proprio modello organizzativo-gestionale che è stato adottato in tutto il mondo in molti settori.

In sintesi Sperimentare, Innovare, Apprendere è il principio guida per il raggiungimento di obiettivi in ambiti complessi quali sono quelli in cui si muove un’azienda rispetto al mercato o un manager rispetto al contesto gestionale della sua azienda. Ma è anche il processo tipico di un percorso o di una sessione di coaching, vediamolo insieme: la prima domanda che un coach pone è “di cosa mi vuoi parlare?” e poi “ quale obiettivo ti poni?”. É interessante notare che il coaching parla sempre di obiettivi e non di problemi, tuttavia il senso è esattamente lo stesso di quello di Munari perché si parte da un bisogno, dalla decisione consapevole di perseguire una finalità.  L’enunciazione dell’obiettivo tuttavia non è sufficiente, segue una esplorazione per approfondirlo, delimitarlo in un ambito di fattibilità e renderlo quindi raggiungibile. Si scompone quindi l’obiettivo e spesso il coach chiede se in passato il cliente ha già vissuto esperienze simili risolte brillantemente, questo consente di fare leva sui propri punti di forza e di focalizzarsi sul futuro e sull’azione.  Si ricerca la consapevolezza su dove ci si trova e su dove si vuole andare, su quali strumenti o modalità ci hanno fornito risposte soddisfacenti in passato, si definisce infine un piano di azione da attuare nel breve termine che ci dia immediato riscontro dell’efficacia delle nostre azioni. Spesso le azioni decise non sono straordinarie, fantascientifiche o mai immaginate prima, sono cose normali che derivano dall’avere esaminato l’obiettivo da punti di vista alternativi.

Il coaching quindi esplicita la sua efficacia nel creare consapevolezza nel cliente, nel proporgli di assumersi la responsabilità del proprio obiettivo e nel chiedergli di passare all’azione, cioè nello sperimentare il nuovo. Sperimentazione ed azione sono quindi la chiave del miglioramento che derivano dalla chiarezza e dalla fiducia. Nella mia pratica di coach spesso mi sono trovato ad accompagnare clienti in percorsi di sperimentazione di comportamenti che hanno progressivamente creato apprendimenti e autostima fino a permettere il raggiungimento di obiettivi molto sfidanti, il denominatore comune di queste esperienze molto diverse tra loro è stato il fatto che ognuno ha definito la propria soluzione originale che è risultata essere la migliore per il cliente in quel momento ed in quel contesto. Il coach non ha insegnato nulla ma ha accompagnato nella sperimentazione e quindi nell’apprendimento.

 

Enrico Perversi                         

 

Questo articolo è stato originariamente pubblicato su La Rivista, mensile della Camera di Commercio Italiana per la Svizzera.

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