Tra il dire e il fare....

Perché la formazione alla leadership abbia successo ci vuole un contesto favorevole all’apprendimento ed alla crescita.

Ho ricevuto una mail da un lettore che mi dice “molto interessante quanto espresso nel suo articolo sulla leadership, mi piacerebbe molto applicarlo purtroppo però in azienda la realtà è molto diversa, correrei il rischio di essere emarginato o peggio.”

Chi mi scrive tocca un punto rilevante che viene dibattuto nelle aziende che investono molti soldi in formazione e spesso non vedono risultati apprezzabili in termini di performance organizzativa in quanto le persone ben presto tornano al vecchio modo di operare dopo aver partecipato ad interventi formativi orientati al cambiamento.

E’ un tema che affronto ogni qualvolta si avvia un percorso di coaching: l’azienda mi indica degli obiettivi che desidera siano perseguiti dal manager con cui lavorerò ma spesso non mi fornisce il contesto in cui il ruolo si inserisce, non si preoccupa di evidenziare le necessità di business che hanno portato alle scelte organizzative e poi alla individuazione della persona.  Il primo passo per me è sempre quello di recuperare queste informazioni e la coerenza delle scelte; questo è molto facile quando il programma di coaching parte dagli alti livelli dell’organizzazione per poi scendere, è invece meno agevole quando ci si inserisce a livello di middle management per modificare comportamenti che non trovano riscontro negli executives.

Investire solo sugli individui per generare sviluppo e cambiamento può rivelarsi una scelta inefficace perché il miglioramento delle conoscenze, delle competenze e degli atteggiamenti delle persone deve inserirsi in un sistema organizzativo coerente, progettato e gestito in funzione degli obiettivi da raggiungere.

Quando le cose non funzionano capita spesso di sentire una diagnosi semplicistica ma efficace: “il pesce puzza dalla testa”. Esprime ciò che molte ricerche hanno verificato, gli individui possono cambiare il sistema in cui vivono molto meno di quanto il sistema possa cambiare loro. Chi determina politiche e pratiche di management ha un impatto sul comportamento organizzativo e sui risultati che nessun corso di formazione, per quanto sofisticato sia, può modificare.

Questi temi sono trattati molto esaustivamente da Michael Beer professore emerito di Business Administration alla Harvard Business School che sostiene che il target principale del cambiamento e dello sviluppo è l’organizzazione e che la formazione individuale è un passo successivo.  Il professore identifica sei barriere al cambiamento che definisce i “killer silenziosi” dei programmi di formazione.

  1. La prima è la presenza di priorità contrastantiderivanti da mancanza di chiarezza sulla strategia e sui valori. Se non si conosce la meta finale è decisamente difficile percorrere la strada più breve.
  2. La seconda barriera è costituita da alti dirigenti rinchiusi nella torre d’avorioche non lavorano in team e non modificano il loro comportamento coerentemente con una nuova direzione strategica da seguire. Rimettersi in discussione è sempre molto difficile specie quando si ha un passato di successi.
  3. Il terzo ostacolo è lo stile dei leader: autoritarismo e lassismo sono errori simmetrici che impediscono un confronto sincero sui problemi. Un conflitto sui contenuti gestito efficacemente può portare benefici rilevanti al team ed ai risultati, ricevere feedback dai propri collaboratori è una necessità vitale per chi deve decidere.
  4. Il quarto aspetto da verificare è lo scarso coordinamento tra diverse unità, siano esse divisioni, funzioni o regioni. La progettazione organizzativa deve prevedere flussi di comunicazione e meccanismi operativi che assicurino differenziazione ed integrazione adeguati all’arena competitiva in cui si opera.
  5. La quinta barriera è nella gestione delle risorse umane ed in particolare dei talenti, è necessaria attenzione e coerenza per evitare frustrazione e demotivazione. Spesso i manager tendono a trattenere i propri collaboratori migliori perché non viene considerato un valore far crescere le persone e favorirne la carriera.
  6. Infine vi è la fiducia, o meglio la mancanza di fiducia, che genera la paura diffusa di esplicitare al gruppo dirigente gli ostacoli che limitano l’efficacia dell’organizzazione. Un clima aperto, una comunicazione chiara, una collaborazione diffusa sono il portato della fiducia che deve essere creata e sostenuta.

Questi killer silenziosi che Michael Beer definisce sono la sintesi di una visione dell’organizzazione come un sistema di elementi interconnessi. Struttura organizzativa, processi, stili di leadership, competenze e capacità delle persone, politiche di gestione delle risorse umane determinano comportamento organizzativo e performance complessiva, pensare di generare cambiamenti a partire soltanto dagli individui non può che generare sprechi di denaro per la società e predisporre le persone all’insuccesso.

Enrico Perversi

 

Questo articolo è stato originariamente pubblicato su La Rivista, mensile della Camera di Commercio Italiana per la Svizzera.

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